Cultura, una bella impresa.

Sono ormai lontani i tempi eroici dei lavoratori studenti che avevano conquistato il diritto allo studio nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, ottenendo il riconoscimento della loro specificità di persone che lavoravano e studiavano nell'arco della stessa giornata.

Erano 7-800 mila in Italia a cavallo tra gli anni '50 e '60 i giovani lavoratori che volevano completare il percorso scolastico non svolto a tempo debito o interrotto spesso per dure ragioni di vita, continuando a lavorare perché non si poteva fare altrimenti; essi realizzarono questo obiettivo in meno di un decennio ma altri nel frattempo sopraggiunsero dimostrando che non si trattava solo di ricuperare alla scuola chi non aveva potuto completarla all'età giusta, ma di rientri per aggiornare ed accrescere il proprio bagaglio teorico e culturale per aspirare alla promozione sul lavoro e stare al passo con le innovazioni tecnologiche.

Questa storia è stata scritta nel libro "I fuorilegge della scuola" (assessorato istruzione prov. di Torino, a cura di Danilo Frassetto, 1970) che raccolse e studiò questa singolare esperienza che qualcosa di interessante e utile potrebbe comunicare ancora oggi.

Infatti proprio in quegli anni giunse ad esaurimento un periodo storico un cui le conoscenze acquisite da giovani servivano per tutta la vita e gli aggiornamenti necessari potevano farsi sul lavoro e s'avvertiva la necessità di aggiornare la propria cultura ed il proprio sapere teorico per cogliere al meglio le nuove opportunità che si presentavano.

Bisogna anche dire che la vita di fabbrica e negli altri luoghi di lavoro aveva concorso a far maturare consapevolezze generalizzate tra i giovani; inoltre le esperienze sindacali e politiche che essi conducevano li rendevano consapevoli della necessità di ritornare a frequentare la scuola, al punto che un consistente numero di loro si organizzarono per far valere il "diritto allo studio".

L'esperienza della scuola di Barbania condotta da don Milani con un gruppo di ragazzi rimasti ai margini del sistema scolastico ed il loro libro "Lettera ad una professoressa" (libreria editrice fiorentina, 1967) fornirono le basi teoriche per riflettere sul ruolo della scuola come luogo di selezione dei futuri dirigenti e non dove "i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi" (art. 34 della Costituzione).

Si capì che per praticare il metodo gramsciano prassi - teoria - prassi cioè fare, riflettere su quanto fatto, continuare a fare, come possibilità di crescita continua personale e comune, occorreva tornare a scuola pur continuando a lavorare, sostenendo in proprio spese e sacrifici, certo in vista di futuri vantaggi personali ma surrogando lo Stato e le stesse aziende che si giovavano dei vantaggi di questa scolarizzazione di massa.

L'esperienza dei lavoratori studenti e la lotta da essi organizzata e condotta per il riconoscimento della loro condizione conseguì' alcuni importanti obiettivi di tipo legislativo e normativo i cui i positivi effetti si protrassero nel tempo insieme a importanti spazi di partecipazione democratica, mentre prendeva slancio in tutta europa la stagione studentesca del '68.

Successivamente non venne certo meno l'esigenza di formazione culturale permanente e ricorrente e si sperimentarono iniziative scolastiche per il conseguimento della licenza di scuola media dell'obbligo anche con l'aiuto delle cosiddette "150 ore" sia per trovare più facilmente lavoro che per conseguire la promozione sul lavoro o per partecipare a concorsi.

Le scuole aziendali di imprese di notevoli dimensioni formavano operai qualificati e quadri intermedi destinati alla propria organizzazione produttiva; si trattava comunque di iniziative con finalità limitate ad acquisire conoscenze e titoli di studio spendibili nell'ambiente di lavoro dove già si era o dove si ambiva sistemarsi.

Con la creazione degli organismi democratici della scuola ( dai rappresentanti i classe ai consigli di istituto, ecc.) si è inteso gettare un ponte tra la scuola e la società con risultati non trascurabili ma non tali da contaminare vicendevolmente le due realtà sollecitandole ad esprimere originali contributi culturali e nuove comuni acquisizioni come era nelle intenzioni.

La riforma dei cicli scolastici approvata dal parlamento nel corso della recente XIII legislatura conteneva apprezzabili elementi di novità per quanto concerne la compiutezza del percorso scolastico dell'obbligo e la sua articolazione, relazionandola più adeguatamente alle moderne esigenze di acquisizione culturali e metodologiche per la vita ed il lavoro, mentre apriva la scuola alla società attribuendo ai plessi scolastici la necessaria autonomia didattica ed operativa.

Questo lavoro è stato di fatto interrotto e, forse, vanificato dalle decisione del governo assunte poco prima dell'inizio del corrente anno scolastico di non proseguire nell'applicazione concreta della riforma senza sostituirvi alcunché di nuovo ma continuando semplicemente con il sistema precedente.

Il sistema scolastico non potrà comunque rimanere ai margini del processo di formazione continua e ricorrente, chè intanto in qualche modo prosegue.

Concettualmente le acquisizioni cui dà luogo la formazione continua comunque realizzata sono patrimonio del lavoratore ed attengono la persona che ne è oggetto ma, contemporaneamente, rappresentano anche un arricchimento professionale di cui si giovano le aziende, talchè la formazione continua può trovare spazio nelle piattaforme contrattuali.

Nei contratti atipici le aziende che provvedono direttamente alla formazione continua si tutelano chiedendo ai giovani lavoratori cui viene fornita di contribuirvi con il contenimento del salario e con l'impegno a restare in azienda per un periodo minimo di tempo a venire (è successo ai macchinisti formati per la prima linea ferroviaria privatizzata ed a lavoratori telefonici).

La formazione continua è ricorrente rappresenta poi un antidoto nei confronti della flessibilità, perché da sempre la professionalità non esasperata, di "nicchia" per interderci, consente una maggiore efficacia contrattuale. Le piccole e medie imprese se ne giovano in particolare nei rapporti globalizzati nei quali la qualità degli apporti è essenziale per vedere scenari ampi e collocarvisi efficacemente e durevolmente, evitando il rischio "di essere delle meteore che bruciano il prodotto".

La formazione continua e ricorrente infine anche per capire i veloci cambiamenti del mondo del lavoro e per dialogare con le diverse tipologie che lo compongono; non c'è più la grande azienda tradizionale, "mamma Fiat" per interderci, ma in uno stesso reparto lavorano dipendenti, lavoratori autonomi, collaboratori con partita Iva, soci di cooperativa, un universo di appartenenze, di linguaggi, di aspettative che per parlarsi e capirsi ha bisogno che la cultura, come bella impresa, ponga continuamente a disposizione gli strumenti necessari affinché l'attività umana, di cui il lavoro rappresenta una parte importante, possa dispiegare tutta la sua efficacia per conseguire una più diffusa e sviluppata qualità di vita.

Ottobre 2001



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ultimo aggiornamento il 01 marzo 2003 scrivi al webmaster